La casa rurale
Il Museo è stato ricavato all’interno di un’antica casa rurale risalente al XV secolo. Dall’esterno è possibile notare un portale medioevale in pietra, mentre all’interno si può vedere la volta con la classica forma a “sìlter”, con una tipica finestrella con inferriata.
Dal piano strada si entra nella cucina, il locale principale della casa con il camino usato più per far da mangiare e per lavorare il latte che per riscaldare.
Il vano del camino è provvisto di tutti gli attrezzi di ferro necessari: la catena per appendere le pentole (sòsta), il trepiede (tripé), la graticola (graticola), la paletta (bernàs), la pinza (moèta).
Sulla mensola del camino sono allineati i barattoli del sale (sal), del pepe (pìer), il fiammiferi (solfanèi) ed ancora prima la pietra focaia, lo zucchero (sőcher), il mortaio (mortér), il lume (lanterna a petrolio o lőm ad olio) e il bastone per la polenta (rősgadùr).
A fianco del camino troviamo una mensola provvista di ganci di ferro ove sono appesi: pentole (pignàte), coperchi, secchi, ramine; mentre a lato è appesa alla parete la “scansia”, ove sono posati i piatti fondi e piani, le scodelle di legno (basgiòtt) e le altre stoviglie.
Contro il muro vi è una cassa divisa da due scomparti: una per la farina di granturco e una per quella di frumento.
Vicino alla finestra è murato un lavandino in pietra sotto il quale sono custoditi i secchi con l’acqua, infine un tavolo con sedie impagliate e una panca completano l’arredamento.
Inserimento ambientale
La casa contadina era ubicata all’esterno del nucleo abitativo principale, oppure nelle contrade che sono appunto nate come somma di case rurali, rivolte verso il podere di pertinenza prospiciente o nelle immediate vicinanze, con le aperture principali rivolte a sud, oppure ad ovest o ad est se condizionate dall’orientamento del terreno a monte.
Il rapporto planivolumetrico era solo parzialmente condizionato dal fondo di pertinenza, in quanto le case erano tutte di piccole dimensioni, a stretta economia familiare ed erano sviluppate sul territorio in modo abbastanza uniforme allo sviluppo dei prati o dei roncati (runcàcc) in possesso di ciascuna famiglia.
Si distingue principalmente tra case ad abitazione permanente, quindi con annesso sistema abitativo e localizzate in luoghi ritenuti protetti in base alla memoria storica e quelle a residenza temporanea o cascine, caratterizzate da un solo locale pluriuso, costruite per questa funzione.
Le case erano costruite con materiali tipici del luogo: pietrame delle cave vicine, legname dei boschi circostanti, ad esclusione del colmo, della radice e delle terzere fatte di abete o larice. Il legante era costituito da sabbia ricavata dai torrenti e dai fiumi vicini, con impasto a base di calce di norma ricavata con il procedimento delle “calchére”, presenti un tempo in ogni luogo.
Cortile
Antistante la casa si trova il cortile (èra o curt) dal quale, in alcuni casi, sale la scala di accesso ai piani superiori e nell’angolo, ricavata da una pietra, una panca ove si riposava nei momenti di pausa.
L’aia era generalmente pavimentata con lastre di pietra locale. Prospiciente l’aia troviamo il deposito per la legna, per gli attrezzi del lavoro e il recenti (serài) per gli animali da cortile, la porcilaia e la letamaia.
Nel cortili o sotto il portico spesse volte si trovava il focolare a servizio anche di più famiglie; questo serviva principalmente per riscaldare l’acqua o il latte, per fare il bucato o il formaggio. Il focolare (foglà) è costruito con sassi e malta di calce a forma cilindrica, aperto sul davanti per mettervi la legna da ardere e sul fianco è posto un robusto sostegno di legno (vigogna) al quale era appesa la caldaia di rame. Altre volte il focolare era allestito in un angolo e la caldaia era appoggiata su un trepiede di ferro battuto.
In un angolo del cortile si trovava, generalmente, anche la latrina e, a lato, la fontana, la quale spesso era a servizio di tutto il borgo o della contrada.
Piano terra
I locali della casa erano utilizzati sia per gli uomini sia per gli animali, riuniti sotto lo stesso tetto. I locali del piano terra erano destinati generalmente a stalla costruita con un soffitto a volta, il pavimento in serciato (rés) e le murature in sassi intonacati con malta di calce.
Nelle stalle si allevava bestiame da latte e da carne: mucche, capre, pecore, maiali, conigli, galline, anatre ed oche.
Nella maggior parte dei casi la stalla si apriva direttamente sul porticato (pòrtech) aperto sul lato più solatio della casa, con funzione di disimpegno, di deposito per gli attrezzi di campagna e di luogo di lavoro nelle giornate piovose. Altre volte troviamo una tettoia (penzàna) con le stesse funzioni.
Primo piano
A fianco della stalla o al primo piano si trovava la cucina con il focolare. Durante l’inverno si soggiornava volentieri nella stalla, non solo perché più calda, ma anche per motivi di economia e risparmio.
Gli utensili da cucina usati più spesso sono: la pentola di terracotta (pignàta), il paiolo di rame allargato verso l’alto per fare il formaggio e il bucato (perőlù) e per fare la polenta (perőlì); appesi al camino (con la sòsta) oppure appoggiati al treppiede (tripé), la “pignàta” più larga in fondo per fare le minestre, la “padèla”, il tegame, la casseruola, la “ramina”, la teglia, la “cògoma” del caffè, la caffettiera, il macinino del caffè (masnì), il secchio per il latte di legno o di ferro, le botti per l’acqua e il vino, vari recipienti di rame, le brocche di terracotta, il boccale di terracotta o di legno o di latta o di stagno, le bottiglie ed i fiaschi di vetro, le damigiane, le posate (pirù, cortél, cűgià), i piatti (la fundìna, ol piàt).
Dalla cucina, direttamente o attraverso una scala, si entrava alle stanze da letto. Sempre al primo piano, antistante alle stanze o alla stessa cucina, vi era il loggiato e sul lato aperto, una struttura di pertiche di legno per appendervi i mazzi di granturco da essiccare (splère) e sul pavimento di legno erano ammucchiati i covoni di frumento.
Dal loggiato, o direttamente dalla cucina, attraverso una scala di legno o attraverso un’ampia porta posta sul retro, si accede al fienile, (fenèr) che generalmente arriva sino al tetto.
Secondo piano
Al piano superiore era spesso anche la camera da letto dei figli. Nel sottotetto (solèr) venivano riposti gli oggetti in disuso, poiché era buona cosa conservare tutto ciò che poteva essere un giorno riadattato o riutilizzato.
Antistante le facciate del secondo piano c’era la terrazza (lòbia) che serviva per fare essiccare le granaglie. In tempi relativamente recenti sulle terrazze in un angolo vi era anche la latrina.
Struttura e materiali
La casa era di solito a pianta rettangolare, quando era edificata su terreno in pendenza era parzialmente seminterrata, costituita da spessi muri in pietrame e malta di calce, con il solaio del piano terra a volta (sìlter).
I piani superiori erano sempre con i muri perimetrali di pietra, raramente in legno, con solai costituiti da struttura lignea con sovrastante assito.
I soffitti delle stanze erano costruiti con travi di legno con soprastante assito, mentre le pareti divisorie era costruite in legno o con struttura di legno e paglia mischiata con malta di calcina.
Il tetto con struttura di legno era coperto da coppi o da ardesie (piőde). La maggior parte degli edifici accessori era costruita in legno con copertura di corteccia di abete (rősca).
Le aperture delle porte e delle finestre erano piccole e si allargavano a forma d’imbuto verso l’interno attraverso muri piuttosto spessi, mentre davanti alla finestre al piano terra si trovavano sovente delle caratteristiche inferriate di ferro battuto ad evidente scopo di difesa della proprietà.
Alcune case appartenenti a proprietari più abbienti, sullo stipite della porta d’ingresso in pietra recavano delle scritte o date o vi erano scolpiti gli stemmi delle famiglie. Le porte erano in legno, chiuse con dei catenacci (scarnàs) dall’interno o da serrature caratteristiche.
La camera da letto
Attraverso una porta si entra nella stanza dei genitori e dei bambini più piccoli. Questa stanza era arredata dal letto matrimoniali con materasso di crine (grìnga) o di lana, da una cassapanca per riporvi la biancheria ed i vestiti ed alcune volte, per i più abbienti, vi erano l’armadio e il comò con lo specchio, oltre ad un lettino ed alla culla dei bambini più piccoli.
Le lenzuola erano di lino ed il cuscino imbottito di piume di gallina o d’oca; le coperte erano di lana, per i più abbienti c’era anche la trapunta, mentre per le famiglie più povere si ricavavano cucendo assieme a più strati tutti i pezzi di stoffa e stracci che si riuscivano a trovare (pelòcc).
La stanza dei ragazzi era arredata solo con il letto e la cassapanca, al posto del materasso c’era il “paiù de scarfòi” e cioè le foglie che avvolgevano le pannocchie di granturco essiccate e raccolte in un sacco di tela, di lino o di canapa.
Il lavoro domestico, Il pane casereccio
La farina veniva ricavata dai cereali attraverso la pestatura e la macinazione al mulino o a mano con il mortaio ed il pestello di legno o pietra. Per ricavare il pane questa veniva impastata con acqua, sale, lievito e fatta cuocere.
I sistemi primitivi di cottura erano:
– a graticola: si poneva la farina impastata con acqua e sale sulla brace del focolare e veniva coperta da ceneri ardenti:
– altre volte l’impasto veniva riposto in una terrina con coperchio (la schisada).
– in molte case poi vi era il forno da pane simile agli attuali forni da pizza.
La differenza tra la schiacciata e il pane è che quest’ultimo si ottiene attraverso la cottura di pasta lievitata. Dopo aver impastato la farina con acqua e sale, si aggiunge il lievito che provoca un processo di fermentazione, per questo la pasta si accresce. Il lievito si ottiene conservando un piccolo resto di pasta entro un recipiente, lasciandolo inacidire.
La sera prima della panificazione s’impasta il lievito con acqua calda e farina e si lascia in luogo caldo; durante la notte lievita e raddoppia di volume. Oggi si utilizza il lievito di birra. Quando la pasta è ben amalgamata e lievitata si fanno delle pagnotte e si procede alla cottura nel forno.
Il bucato
La cadenza del bucato era stagionale e s’impiegavano da due a quattro giorni. Il procedimento era il seguente: prima si provvedeva all’ammollo, cioè il primo giorno o la sera prima i panni sporchi erano messi nell’acqua e lasciati a bagno per alcune ore dentro un apposito recipiente. Dopo l’ammollo la biancheria veniva insaponata, lavata una prima volta, sfregandola sul supporto in pietra o sull’asse (ass de laà); dopo l’insaponatura ed il primo lavaggio la biancheria veniva sciacquata prima del trattamento con la liscivia (il lavaggio vero e proprio).
La liscivia si ricavava aggiungendo all’acqua cenere di legna adatta. Mescolando acqua e cenere si otteneva carbonato di potassio, il cui effetto principale era quello di togliere l’unto e di addolcire l’acqua calcarea, così da rendere più efficace il trattamento con il sapone. L’acqua più adatta per il bucato era quella piovana. Si faceva bollire la cenere nel paiolo e la liscivia era versata ripetutamente sulla biancheria, facendola poi bollire di nuovo. La cenere non doveva mai essere messa a contatto con la biancheria, sopra di essa era steso un panno grossolano che serviva da filtro. Il bucato veniva sistemato nel tino, un grande recipiente di legno a forma di cono tronco, formato da doghe cerchiate, con sul fondo un foro per la fuoriuscita della lisciva. La biancheria tolta dal tino era insaponata, lavata, risciacquata e strizzata a mano quindi battuta su lastre di pietra alla fontana o al ruscello o sull’asse per lavare.
Il maiale
Il maiale era una delle principali risorse di carne per la famiglia ed era per lo più carne insaccata, così da durare a lungo. Allevare l’animale con i resti della cucina era poco costoso e molto redditizio e forniva un cibo gustoso e vario. Come per i formaggi, anche i salumi erano prodotti localmente e realizzati secondo i canoni della tradizione. Il maiale era ammazzato con una pugnalata al cuore, generalmente prima di Natale.
Era come una festa e tutta la famiglia era partecipe dell’avvenimento. Prima della squartatura si era pronti a raccogliere il sangue che veniva donato ai vicini per fare “la tùrta”. Quindi si procedeva alla pulitura delle setole con un coltello affilato e con acqua bollente. Poi era sospeso e squartato a pezzi dividendo le varie parti: il lardo, le ossa dalla carne, le interiora, le budella, che ben pulite servivano ad insaccare la carne triturata.
La carne era selezionata, tritata, salata, speziata ed infine insaccata per ricavarne salami e salsicce (salam, codeghì, logànega). Il lardo e i grassi si usavano per ricavare lo strutto.
Altro prodotto che si otteneva dal maiale era la testina, che si ricavava dalla bollitura ed insaccatura, dopo la macinatura, della carni ricavate dalla testa.
Il lavoro del contadino
Il fieno
Gli uomini falciano l’erba dalle ore 5 alle ore 11 (segà l’erba).
Dietro di loro le donne e i bambini spargono l’erba con la forca a due o tre punte (slargà l’erba). Dopo il pranzo il fieno è rivoltato con un rastrello (ultà). Alla sera si fanno diversi cumuli alti fino a mt. 1,5 (muntù, muntunà). La mattina dopo verso le ore 8/9, vale a dire dopo che il sole ha asciugato il terreno dalla rugiada notturna, sono di nuovo sparsi; verso mezzogiorno il fieno è ancora rivoltato, dalle ore 14 in poi è portato nel fienile di solito a spalle con la “fraschéra”.
Colture
Le principali coltivazioni sono: le patate, il foraggio, l’erba medica, il granoturco (melgù), la segale, il frumento, l’avena, l’orzo, il grano saraceno, il lino e la canapa.
La coltivazione avveniva a rotazione biennale o triennale.
Modalità di lavorazione: il terreno è “aràt”, con l’aratro, oppure “angàt” con la vanga o “zapàt” con la zappa. Poi è spianato e ripulito con il badile, con l’erpice, con il rastrello o la mazza di legno, quindi seminato a mano o con la macchina da semina.
Quando la pianticella spunta dal terreno, si mette della terra attorno alla pianticella (n’culmà) in modo da formare una cresta longitudinale.
La raccolta del grano
Il frumento veniva seminato prima dell’inverno; giunto a maturazione verso la fine d’agosto si provvedeva alla mietitura con la falce (seghès), si facevano dei covoni che si trasportavano sull’aia a spalle con la “fraschéra”.
La trebbiatura a mano avveniva sull’aia ben pulita perché il grano battuto non andasse disperso, con un doppio bastone unito da una corda (fiàel), si battevano i covoni per dividere la paglia dal grano. Eliminata la paglia con un rastrello, si doveva provvedere alla separazione del grano dalla pula. Quest’ultima operazione avveniva per ventilazione o per trivellazione.
Per maggiori informazioni:
– Museo Etnografico dell’Alta Valseriana
– Galleria immagini della Casa Rurale
– La Rasga del Tönöla